di Francesco Machina Grifeo. Tratto da www.ilsole24ore.com
Il proprietario di casa e l’amministratore – anche soltanto di fatto – rispondono penalmente della morte dell’inquilino rimasto fulminato per l’assenza di “salvavita” all’interno dell’abitazione.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 40050/2012, respingendo il ricorso di un’anziana madre (proprietaria della casa) e di suo figlio (che “le dava una mano” nella gestione), contro la sentenza della Corte di appello che li aveva condannati entrambi per omicidio colposo.
La vicenda. L’incredibile quanto tragica storia è avvenuta a Catania. Lì si trovava la casa dove lo sventurato inquilino fu raggiunto mentre si faceva la doccia da una prima scarica elettrica. A quel punto, per capire il motivo della dispersione, l’uomo si recò sul terrazzo di copertura dell’abitazione e «senza che avesse in alcun modo armeggiato con i fili elettrici», «venne attinto dalla mortale scarica», soltanto «per avere contemporaneamente toccato il tubo conduttore dell’elettricità all’autoclave e l’inferriata a potenziale elettrico zero», dove venne trovato ancora aggrappato dai soccorritori.
Impianto non a norma. Nulla ha potuto la testimonianza di un tecnico elettricista secondo cui l’appartamento era dotato del dispositivo di sicurezza. Per la Cassazione, infatti, se così fosse stato «il tragico evento non si sarebbe dato», perché «l’immediata disattivazione elettrica avrebbe impedito la folgorazione». Mentre dagli accertamenti tecnici era risultato un impianto «assemblato in modo rudimentale e al quanto approssimativo», tale da escludere, dunque, che la protezione fosse assicurata.
No alla responsabilità dell’inquilino. Neppure si può rimproverare all’inquilino un comportamento anomalo, secondo «l’id quod plerumque accidit», per aver tentato di capire l’origine della perdita, salendo su una terrazza a cui gli era precluso l’ingresso ma che «evidentemente era dotato di libero accesso». Non può dunque addossarsi al povero inquilino tutta la responsabilità anche se la Cassazione ha confermato un suo concorso di colpa al 20 per cento.
La responsabilità dell’amministratore. Infine, degno di nota è anche il riconoscimento della responsabilità in capo al figlio, quale amministratore di fatto, senza perciò che vi fosse stata alcuna “formalità di sorta” nella preposizione ma soltanto sulla base del fatto che egli aveva indicato l’abitazione come “casa mia”, riscuoteva i canoni di locazione rilasciandone ricevuta e dopo l’evento si occupò della messa a norma dell’impianto al posto della madre ormai in età.