[FONTE ASSINEWS.IT – Il Quotidiano Assicurativo]

Diventa sempre più evidente che un lavoratore che non si sente “protetto” dall’azienda rispetto alla sua salute, fisica e mentale, proverà minore coinvolgimento e sarà meno produttivo.

Già lo studio Global Talent Trends di Mercer evidenziava qualche mese fa che 1 impiegato su 3 sarebbe disposto a rinunciare a un aumento salariale per una maggiore copertura sanitaria per sé e per i propri familiari.

Sempre la medesima analisi mostrava come a livello globale, l’88% delle aziende dichiara di abbracciare una cultura del benessere e dell’attenzione verso i dipendenti, eppure lo studio Health On demand, interrogando direttamente i lavoratori, evidenzia come solo il 66% dei lavoratori si sente effettivamente protetto, numero che scende a livello europeo fino al 58% e addirittura al 48% in Italia.

In continuità rispetto allo studio condotto a fine 2021, i risultati del 2023 suggeriscono che ampliare a una più ampia fetta di popolazione aziendale la copertura sanitaria fa la differenza.

In particolare in Italia, dove non solo la spinta inflazionistica ha eroso il potere di acquisto dei lavoratori, ma si assiste anche a un progressivo collasso del sistema sanitario nazionale, dove aumenta la difficoltà di accesso a esami diagnostici e a visite specialistiche, ma anche ad interventi chirurgici più o meno urgenti.

In questo contesto, le aziende che sapranno pianificare strategicamente la propria offerta di benefit legati alla salute vinceranno la sfida dei talenti, risultando più attrattive per i lavoratori in entrata e anche per quelli considerati fondamentali nell’ambito dell’organizzazione esistente.

Non solo: anche in ottica di obiettivi ESG che l’azienda si pone nel medio e lungo periodo, l’attenzione alla salute dei dipendenti si riflette in una purpose coerente e tangibile.

La ricerca esamina, in particolare, i bisogni espressi dalla generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012), che entro il 2025 rappresenterà il 27% della popolazione aziendale, e che mostra rilevanti differenze rispetto alla generazione X: per esempio dichiarano nel 62% dei casi di decidere di rimanere nell’azienda in cui lavorano in base ai benefit che ricevono (42% nella generazione X). 

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Sono lavoratori molto più attenti ai benefit offerti dall’azienda e influenzano profondamente le opinioni delle altre generazioni, cercando soluzioni innovative a problemi tradizionali.

Nella ricerca di Oliver Wyman A – Gen – Z, emerge che il 50% dei lavoratori appartenenti a questa fascia di popolazione dichiarano di sentirsi stressati quotidianamente e 1.9 volte più esposti rispetto alla malattia mentale (Fonte: A Gen Z Report 2023, Oliver Wyman). 

Anche se in Italia i lavoratori più stressati risultano far parte della Gen X (51%), il che potrebbe essere correlato all’impegno da caregiver spesso evidenziato da questi lavoratori (il 72% delle persone che hanno risposto allo studio in Italia ha dichiarato di essere caregiver).

Uno spazio importante viene dedicato dalla ricerca alle lavoratrici femminili, categoria particolarmente insoddisfatta rispetto alle forme di copertura sanitaria offerte dall’azienda. Alcune situazioni nelle quali le donne, nell’arco della vita, si trovano ad affrontare, come la maternità o la menopausa, sembrano vengano spesso ignorate. 

Un esempio eclatante è rappresentato dai servizi a supporto delle donne caregiver di adulti: solo il 15% dichiara di essere stato aiutato dal datore di lavoro, mentre il 62% afferma di avere bisogno di aiuto in questo ambito. 

Non si hanno al momento stime ufficiali del numero delle donne caregiver in Italia, ma fa riflettere il fenomeno emerso con la pandemia, dove la maggioranza delle persone che hanno dovuto lasciare il lavoro per occuparsi dei propri familiari era donna.

Mentre è evidente che le crisi globali non possono essere controllate e gestite dalle aziende, i lavoratori si aspettano che il datore di lavoro agisca per proteggerli contro le conseguenze generate dal contesto economico e sociale. 

Questo rappresenta un’opportunità per le aziende, che possono tangibilmente dimostrare il proprio impegno attraverso i benefit offerti e la comunicazione stabile e ben pianificata che ne faciliti domanda e accesso. 

I lavoratori, infatti, interrogati sull’importanza dell’allineamento tra dichiarazioni pubbliche di sostegno alla propria popolazione aziendale ed effettive e concrete iniziative avviate, hanno elencato tra le aree più importanti la salute delle donne (70%) e cura/equità nei confronti delle persone diversamente abili (66%). 

Salta all’occhio, inoltre, il cosiddetto protection gap in relazione alle categorie a basso reddito e lavoratori part-time, che risultano i meno protetti e quindi i meno propensi a creare un legame di fiducia con la propria azienda. Se consideriamo i lavoratori part time versus quelli a tempo pieno il Italia tale gap è del 17% (Global 9%) ed esprime la fiducia di poter soddisfare i propri bisogni di cura in caso di necessità. 

Se invece consideriamo il target di lavoratori low e high income (vedi figura 4) il gap in Italia sembra essere meno ampio, ma va tenuto conto che le percentuali di intervistati che hanno accesso alle soluzioni di benefit è decisamente inferiore rispetto al dato globale.

Figura 4 – Protection gap lavoratori part-time e low income

Un ultimo elemento importante da sottolineare è il ruolo che la comunicazione dei benefit assume in questo contesto: meglio si comunica ai dipendenti, utilizzando gli strumenti più appropriati in base al target definito, più renderemo accessibili le informazioni, generando un conseguente aumento della soddisfazione rispetto al datore di lavoro.

Risulta infatti fondamentale che gli annunci esterni rispetto alle buone pratiche di protezione del personale rispecchino azioni concrete e strutturate.

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