Covid: Tribunale condanna INAIL a risarcire eredi lavoratrice

condanna INAIL

Contagio da Covid -19: Tribunale di Milano decide per la presunzione semplice sul “nesso causale” e condanna INAIL a risarcire gli eredi di una lavoratrice che lavorava in contatto con il pubblico

Se purtroppo è successo anche a qualcuno che conosci, puoi regalare loro o ai loro eredi un futuro economicamente migliore.

È successo anche a me, durante il percorso di consulenza aziendale Imprenditore Protetto, di occuparmi di un famigliare di uno dei soci dell’Azienda X, deceduto a causa del Covid.

Lo sfortunato ha lasciato una moglie e due figli minori.

Ma in quel periodo non era ancora chiaro chi dovesse risponderne qualora fosse accertato che il contagio era avvenuto sul luogo di lavoro.

Soprattutto all’inizio della pandemia le eventuali responsabilità a carici del datore di lavoro erano difficili oggettivamente da riscontrare.

E così, per non saper né leggere né scrivere, consigliai ad Andrea di far inviare all’INAIL una richiesta, a nome degli eredi, per ottenere l’assegno di rendita dei superstiti.

Se hai avuto un caso analogo e vuoi sapere come può finire, a vantaggio degli eredi, leggi cosa ha deciso il Tribunale di Milano l’8 marzo 2023…

Mentre ci sembra di aver lasciato alle spalle la pandemia e Covid-19, ecco che con i suoi tempi la GIUSTIZIA ci ricorda di esistere, arriva una sentenza del Tribunale di Milano (dell’8 marzo 2023), che torna a far discutere sul problema di contagio sul lavoro e individuazione del nesso causale.

Caso vuole che l’impiegata lavorava nell’edifico del palazzo di Giustizia (alle dipendenze del Ministero) e si occupava di ricezione degli atti, della richiesta copie e delle formule esecutive, svolgendo attività allo sportello dell’ufficio decreti ingiuntivi.

Il luogo in cui lavorava (assieme ad una decina di persone) era un’ampia stanza, ma l’attività di contatto con il pubblico si svolgeva dietro un bancone che separava le persone con un vetro in cui era collocata una feritoia.

La dipendente si era sentita male ed era entrata in pronto soccorso proprio nel marzo del 2020 e poi era deceduta qualche settimana dopo.

Il CTU incaricato dal giudice ha individuato come data di probabile insorgenza della patologia il 3 marzo e ha concluso che la lavoratrice non potesse aver ricevuto il virus dai familiari, perché era stata la prima a manifestare i sintomi del Covid.

Inoltre, il fatto di lavorare in un ambiente chiuso, a distanza ravvicinata con i colleghi e con il pubblico avrebbero secondo il CTU reso possibile la trasmissione del virus, soprattutto in una fase iniziale della pandemia dove non veniva utilizzata la mascherina.

Secondo il CTU non essendo possibile stabilire il momento preciso del contagio, si può utilizzare il criterio probabilistico per ritenere che sia avvenuto nel contesto di lavoro.

Il Tribunale di Milano nella sentenza del 8 marzo 2023 ricorda la circolare 13/2020 dell’INAIL, con la quale l’ente sostiene che sussiste una condizione di elevato rischio di contagio, non solo per le attività in ambito sanitario, ma anche per attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico, tra cui: lavoratori front office, addetti alla cassa, alle vendite e banconisti, personale non sanitario operante negli ospedali con mansioni tecniche, di supporto e pulizia. Anche per tali professioni, deve valere quindi la presunzione semplice di origine lavorativa del contagio.

Sulla base di queste considerazioni il Tribunale ha condannato INAIL al pagamento all’erede della rendita ai superstiti prevista dall’articolo 85 del Dpr 1124/1965.